La storia di Roma in 100 monumenti e opere d'arte by Ilaria Beltramme
autore:Ilaria Beltramme [Beltramme, Ilaria]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788854188051
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2015-11-15T23:00:00+00:00
Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini
I Barberini venivano dalla Toscana, dove avevano fatto fortuna intorno allâanno Mille, stabilendosi a Firenze da Barberino Val dâElsa. Erano gente di campagna, quindi, nobiltà che proveniva dal mondo agricolo; provinciali, per dirla in altre parole. Niente a che vedere con il prestigio, la ricchezza e il lusso che la dinastia sfoggiò a Roma durante il pontificato del rampollo più illustre, il giurista Maffeo, che nel 1623 fu eletto papa con il nome di Urbano viii.
Ma allora, erano passati già cinque secoli da quando erano arrivati sullâArno dai campi di Barberino. Nel frattempo, avevano anche cambiato nome e simbolo sullo stemma di famiglia, scegliendo di dedicare il futuro destino della dinastia al paese di provenienza, piuttosto che lasciare il titolo originario, Tafani, che rimandava invece al nome dellâomonimo palazzo fiorentino e al fastidiosissimo insetto, tipico abitante dei campi, come del resto anche loro erano stati un tempo. Il tafano, inoltre, aveva imperversato a lungo pure nella loro araldica e infatti, in seguito, fu trasformato in un terzetto dâapi, quelle con cui è facile fare conoscenza durante una passeggiata dalle parti di piazza Barberini, o nelle sale del loro palazzo che oggi ospita una sede della collezione della Galleria Nazionale dâArte Antica.
La dice lunga questa giravolta semantica e iconografica che fece da propellente alle sorti di una delle stirpi nobili più note dellâepoca barocca. Restituisce il senso di un carattere generale, della determinazione, dellâimpegno e pure della loro perniciosità , in fondo â che va menzionata per amore di onestà â come se quei tafani primigeni, alla fine, non si fossero mai veramente allontanati dallâanima dei Barberini che poi, molto più tardi, governarono Roma, lasciando un segno che anche nella città contemporanea è diventato un marchio, una traccia caratteristica. E qui sta, forse, anche la sostanziale diffidenza con cui Pasquino (leggi il popolo di Roma) ne bollò il passaggio dal soglio pontificio, con una definizione terribile: quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini (quello che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini), riferendosi allâopera sistematica di spoliazione dei ruderi antichi in favore di nuovi progetti, fra cui spicca, per esempio, il baldacchino di San Pietro, costruito con il bronzo prelevato dal Pantheon. Negli anni dâoro della dinastia per ogni nuovo edificio che nasceva, âmorivaâ un pezzo di memoria antica. Senza dare spiegazioni, senza considerazione per il popolo di Roma che osservava e prendeva nota, moriva di stenti e vedeva palazzi innalzarsi, pagava le tasse per guerre lontane e il papa ne ingaggiava una âprivataâ, in casa, contro i Farnese per dare un feudo a suo nipote. Il giudizio dei contemporanei non poteva che essere netto. Noi, possiamo invece concederci il privilegio di mostrare un poâ più dâindulgenza, senza sentirci troppo complici. Infatti, oggi, mentre calpestiamo e ammiriamo la âloroâ Roma non possiamo fare a meno di inchinarci davanti a una delle corti più illustri della Città Eterna nella sua epoca dorata. Dallâestate del 1623 a quella del 1644 furono loro i padroni della città .
Il conclave che elesse
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